Che cosa sogniamo quando scaviamo per trovare un diamante?
Chi non ha mai sognato di trovare un diamante? Di trovarlo lì, scintillante sul palmo della mano?
In Arkansas, c’è una miniera aperta al pubblico, l’unica nel suo genere, dove chiunque è il benvenuto a sognare. Tredici dollari sono tutto quello che vi serve affinché il “Craters of Diamonds” sia vostro per un giorno. Il sito si trova su una superficie di circa 15 ettari, pari a circa 21 campi da calcio. Siete invitati a sedervi dove vi piace… e a scavare. Se vi imbattete in un diamante, è vostro!
Decine di persone si affollano per mettere alla prova la loro mano, in ginocchio nel fango, tra ondate di caldo, grandine o acqua alta.
Ma mentre si scava, dove vaga la mente? A essere portati alla luce non sono tanto i piccoli diamanti, ma i fantasmi del proprio passato.
Diretto da Caitlyn Greene Fotografia: Nick Perron-Siegel Montaggio: Caitlyn Greene, Dillon Hayes Suono: Calvin Pia Musica: Jeff Melanson Calibrazione del colore: RCO, Seth Ricart, Derrick Yuen, Sheina Dao Produzione: Eric Maierson, Andrew Hutcheson Traduzione: Michela Maroni, Giorgia Frigerio, Elisabetta De Laurentis
Intervista
Caitlyn Greene Regista
“Un campo sterrato pubblico, in Arkansas, pieno di diamanti e di persone di ogni ceto sociale che li cercano? Non potevo perdermelo.”
Parlaci di te, Caitlyn.
Sono una regista vincitrice di un Emmy Award, originaria del sud degli Stati Uniti. Questo film, The Diamond, è il mio più recente documentario breve; è stato acquistato dal New Yorker dopo la première al Camden International Film Festival, dove ha vinto il Vimeo Staff Pick Award del CIFF.
I miei precedenti cortometraggi sono stati proiettati a festival in tutto il mondo, vincendo diversi premi della giuria e il Vimeo Staff Picks’ Best of the Year. Ho diretto anche lavori per marchi come YouTube, Facebook e Mercedes-Benz.
Ho ricevuto un Primetime Emmy e un ACE Eddie Award per il montaggio di The Jinx, la docu-serie HBO vincitrice del Peabody Award. Altri progetti di montaggio includono il documentario d’autore When Lambs Become Lions [un film di Jon Kasbe, regista di Blood Rider], per il quale ho ricevuto il premio per il miglior montaggio al Tribeca Film Festival e una nomina all’IDA Documentary Award; così come la serie documentario FX Il massacro di Fort Bragg, di Marc Smerling (The Jinx) e Errol Morris.
Come è nato questo progetto?
Mi sono imbattuta in un articolo online riguardo al Crater of Diamonds State Park, il campo in cui è ambientato il film. Ne sono stata subito affascinata. Un campo sterrato pubblico, in Arkansas, pieno di diamanti e di persone di ogni ceto sociale che li cercano? Non potevo perdermelo.
Ho un debole per l’America delle strade e per il sud degli Stati Uniti, dove sono nata e cresciuta. Ma soprattutto, mi ha colpita la metafora del luogo. Ero curiosa di scoprire chi avrei incontrato nell’area, cosa avesse spinto lì quelle persone, e cosa avrebbero trovato.
“Volevo che il film rimanesse circoscritto al campo e che sembrasse scollegato dal tempo e dallo spazio, quasi sospeso nel tempo.”
Puoi parlarci del tuo approccio sul posto?
Per sei giorni, a maggio, io e il direttore della fotografia Nick Perron-Siegel abbiamo visitato il campo dall’apertura alla chiusura, camminando e avvicinando le persone che ci attiravano. Ho intervistato probabilmente il doppio delle persone che compaiono nel film. La maggior parte di loro era di passaggio, quindi l’intervista rappresentava il nostro unico incontro.
Se le persone erano disposte a parlare con noi ci sedevamo, riprendevamo e parlavamo con loro per un paio d’ore, nient’altro. Era la versione “appuntamento al buio” di un’intervista. Scavare la terra, con moltissimo tempo e spazio, è stato di grande aiuto.
Riprendi i cercatori di diamanti alla loro altezza, con i piedi nel fango. Utilizzi anche molti zoom, fatto insolito, tra i quali uno molto bello che permette allo spettatore di rendersi conto a colpo d’occhio che il sito minerario è in realtà enorme. Parlaci delle tue scelte visive.
Sapevo di volere che il film rimanesse circoscritto al campo e che sembrasse scollegato dal tempo e dallo spazio, quasi sospeso nel tempo, ben distinto dalle vite quotidiane su cui le persone stavano riflettendo. Questo è stato il nostro punto di partenza.
Le scelte delle inquadrature, le lenti, il grado di colorazione, è scaturito tutto da lì. Per noi gli zoom richiamavano uno stile nostalgico, ma sono stati anche un modo per costruire un linguaggio per il film mentre ci muovevamo in un unico spazio aperto, tra conversazioni intime ed estranei.
Il film è pervaso da grande morbidezza. Si può percepire la vicinanza della natura, sentire il vento tra gli alberi e il canto degli uccelli. Parlaci del tuo approccio al suono e alla musica.
Mi piace questa chiave di lettura. Sicuramente lo percepisco nella colonna sonora, credo in parte grazie alla strumentazione e alla tecnica utilizzate dal compositore Jeff Melanson. Volevamo che il mondo del campo emergesse con forza nel suono, specialmente perché il campo stesso non è uno spazio visivamente dinamico. Eppure, c’è un senso di connessione con la terra sottostante e circostante: tutti interagiscono direttamente con essa. Abbiamo cercato di dare vita a questo aspetto tramite il suono.
“Il montaggio è un ottimo modo per studiare da vicino il linguaggio e la grammatica del cinema.”
Come hai detto in precedenza, sei una regista ma anche una montatrice. Questo come influenza il tuo modo di lavorare come regista? Hai un approccio più “tecnico” durante le riprese, anticipi maggiormente ciò che pensi sarà necessario durante il montaggio?
Penso che il montaggio sia un ottimo modo per studiare da vicino il linguaggio e la grammatica del cinema. Certo, aiuta a sapere cos’è necessario a livello tecnico per far funzionare un montaggio ma, soprattutto, aiuta a costruire un linguaggio per il film e idee concrete su come poter utilizzare quegli elementi a livello strutturale o narrativo.
Nel caso di questo film, ciò ha portato a scelte visive come gli zoom a cui accennavi. Mentre giravamo non sapevo esattamente come li avremmo utilizzati, ma avevo un’idea del linguaggio che stavamo costruendo e, successivamente, abbiamo avuto l’opportunità di essere intenzionali con quel linguaggio in fase di montaggio.
Quali sono i tuoi progetti attuali?
Sto lavorando a un documentario basato sui personaggi in Louisiana, sul fiume Mississippi e sul controllo della natura.
Un commento su 99 e sull’adattamento del tuo film in diverse lingue?
Sono davvero grata per le traduzioni e per il sostegno nel rendere i film più accessibili. Spero che, all’interno del film, ci siano momenti di umanità ed emozione universali che piaceranno ai parlanti di qualsiasi lingua.
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