La piccola Angela ha sei anni – innocente, sicura e felice con la madre e il padre, il fratello e la sorella. Nata in Belgio, fa tutte le cose che fa una bambina normale: costruisce aeroplanini di carta, soffia sulle candeline per il compleanno, dipinge arcobaleni con gli acquerelli…

Sua madre Rose le sussurra una preghiera in Wolof, la lingua del Senegal, dove lei è nata. Sa che le cose possono sempre cambiare, e prega che Angela cresca felice in Belgio, nonostante il modo in cui alcune persone guardano i suoi figli – con sospetto, a causa del colore della loro pelle.

Diretto da Niels Devlieghere
Fotografia, correzione del colore: Pauwel Billiau
Montaggio: Louise Butter
Suono, musica: Simon Kremar
Traduzione: Giorgia Frigerio, Michela Maroni

Intervista

Niels Devlieghere | 99.media

Niels Devlieghere Regista

“Man mano che entravo a far parte della vita di Angela, ho iniziato a notare che i piccoli dettagli del suo ambiente diventavano tangibili e impossibili da ignorare”.
  • Can you introduce yourself?


Ho 28 anni e vivo a Bruxelles, in Belgio. Sono regista e fotografo, mi occupo soprattutto di documentari. L’idea di diventare regista e l’amore per il cinema non mi sono venuti in giovane età, ma durante i miei vent’anni.

 

Nonostante non avessi né una formazione né una carriera cinematografiche, i miei genitori mi hanno introdotto alla macchina da presa quando ero giovane. Ricordo che mia madre andava sempre in giro a fare foto a me e a mia sorella, e mi faceva vedere come funzionava una macchina fotografica analogica. In seguito, quando le videocamere (con i nastri!) sono diventate più economiche, mio padre ne ha comprata una con cui io e i miei amici giravamo cortometraggi. Ci travestivamo, costruivamo la scenografia e facevamo la nostra versione di Star Wars!

 

Durante l’università ho iniziato, poco a poco, a capire che volevo fare film. Ho iniziato ad andare a un cinema d’essai più volte a settimana, e mi sono innamorato di quello che vedevo lì. A volte ero l’unico in sala e dovevano proiettare i film solo per me!

 

Ho finito gli studi e mi sono laureato come architetto. Due giorni dopo la laurea ho fatto l’esame di ammissione al Royal Institute for Theatre, Cinema & Sound a Bruxelles, e sono stato ammesso. Questa volta sentivo di essere nel posto giusto.


Da quel momento in poi tutto è andato molto veloce, il che è positivo. Mi piace vivere e lavorare in questo modo. Nel settembre del 2020 mi sono laureato con il film Elong E’nabe.

Elong E'nabe | 99.media
  • Come è nato il progetto? Come hai conosciuto Angela e la sua famiglia?


Avevo in mente da molto l’idea per questo progetto. Ho sempre voluto fare un film che raccontasse la storia di un luogo seguendo le vite di più personaggi. Quello era l’approccio iniziale. Credo che il film lo faccia, in un certo senso, ma in modo più sottile rispetto a quello che avevo previsto.

Durante il periodo di ricerca ho visitato spesso la periferia di Bruxelles, sempre con i mezzi di trasporto, così da poter chiacchierare con le persone in metro o in autobus. Una notte ho preso un bus e ho visto una donna seduta con i due figli che le si stavano addormentando in grembo. Ho aspettato  che scendessimo tutti e solo allora mi sono avvicinato alla madre, Rose. Le ho spiegato chi ero e cosa stavo cercando per il mio film mentre andavamo verso casa loro sotto la pioggia. Una volta arrivati, mi ha invitato a entrare e ho potuto spiegarmi meglio.

Quella sera abbiamo finito per parlare a lungo con tutta la famiglia a tavola, mentre cenavamo. Avevo incontrato molte persone diverse durante il periodo di ricerca, ma in quel momento ho capito che c’era il potenziale per una buona storia. L’ho capito perché mentre parlavamo del luogo in cui vivono, Angela, il fratello e la sorella mi hanno raccontato alcune storie sul modo in cui venivano percepiti in pubblico, o di come alcune persone li trattavano diversamente a causa del colore della loro pelle.

Mi hanno raccontato molte altre cose, sia esperienze positive sia negative, ma quello che mi ha colpito di più è stato il modo in cui quei ragazzi affrontavano argomenti così difficili e mettevano in discussione la loro identità, solo a causa del luogo in cui stavano crescendo. Ho notato che le loro vite avevano un lato molto sensibile, che dovevano confrontarsi ogni giorno con la discriminazione e il senso di appartenenza.  D’altra parte, ho visto che la mamma, Rose, ha lottato per creare una casa sicura per i figli, in cui fossero un po’ protetti dalla realtà del mondo esterno. La dualità della situazione mi ha colpito, ed è stato allora che ho deciso di fare un film sulla vita di Angela.

Elong E'nabe | 99.media
  • Cosa c’è di diverso quando si filmano i bambini?
    Sono consapevoli della telecamera, come gli adulti?
     


Quando giro un documentario cerco sempre di creare situazioni in cui il soggetto si dimentica che stiamo facendo qualcosa di “importante”. Voglio sempre che le persone con cui lavoro si sentano il più possibile spontanee e a loro agio con me e la telecamera, così che le cose possano accadere in modo naturale nella scena, invece di dover chiedere a qualcuno di fare una determinata cosa. Non mi piace.

Il mio metodo consiste nel passare molto tempo, di solito qualche settimana o mese, con loro, osservando la loro routine quotidiana senza interromperli. Cerco di parlare molto con la persona con cui lavoro per conoscerla e per discutere le idee sul film che sto per fare. Giro film molto intimi e personali, che sono il risultato di un’interazione, una collaborazione tra me e il soggetto. Voglio che abbiano voce in capitolo su ciò che va bene e ciò che non va bene. In questo modo creiamo qualcosa insieme e otteniamo un risultato di cui entrambe le parti sono soddisfatte.

Nel caso di Angela, per esempio, ho passato molto tempo a svegliarmi presto per andare a casa sua, fare colazione insieme, prendere l’autobus per la scuola, andare a prendere i bambini a scuola, cenare, fare i compiti, pregare, ecc. L’ho fatto per molto tempo, portando con me anche il mio direttore della fotografia (DOP, Director of Photography), Pauwel Billiau, così che potessero conoscerlo.

Quando alla fine iniziamo a girare una scena nella loro camera da letto, per esempio, sono già così abituati a noi che si sono dimenticati della nostra presenza, per così dire. È a quel punto che in una scena possono accadere cose spontanee.

La scena con gli aeroplanini di carta è un po’ un’eccezione, perché è stata un’idea che ci è venuta giocando con loro: farne una scena. È questo il bello di giocare con i bambini: ci sono quell’innocenza e quella giocosità per cui puoi chiedere loro se vogliono piegare aeroplani di carta e lanciarli verso la telecamera senza che loro esitino nemmeno per un secondo.

Elong E'nabe | 99.media
  • Il film è intervallato da interventi di Rose, che sentiamo fuori campo mentre “parla” alla figlia. Puoi dirci qualcosa di questo processo narrativo? 


L’idea per il voice-over mi è venuta grazie alle preghiere di Rose. Ogni sera, prima di andare a letto, Rose chiama i bambini nella sua stanza e tutti si siedono sul letto mentre lei prega per loro. Durante il periodo in cui ho osservato la loro vita quotidiana, ho sentito molte di queste preghiere. Mi piacevano questi momenti, perché è lì che venivano espressi pensieri, preoccupazioni e desideri. Queste preghiere intime sono state per me momenti eccezionali, perché mi hanno mostrato che Rose è una forza potente all’interno della famiglia, ma anche silenziosa.

È una persona che farebbe di tutto per aiutare i suoi figli e spingerli a una vita felice e piena di successi. Molto di questo, però, succede dietro le quinte. I bambini non si accorgono di tutte le piccole cose che lei fa per il loro successo. Rose non usa molte parole per esprimersi. A volte trasmette di più solo attraverso i suoi occhi, o nel modo in cui guarda Angela mentre le fa vedere i disegni che ha fatto a scuola. È così che percepivo Rose, e ho voluto trasmetterlo anche al pubblico.

La decisione di aggiungere il voice-over è arrivata dopo che avevamo già girato tutto: stavo facendo vedere a Rose una bozza del montaggio e le ho spiegato la mia idea, che le è piaciuta molto. Ha iniziato a scrivere un testo nella sua lingua madre, il wolof senegalese. Ne abbiamo registrato alcune versioni e le ho poi inserite nel montaggio per vedere se funzionavano. Poi sono tornato indietro per lavorare ancora un po’ sul testo insieme, e alla fine l’abbiamo finito. Abbiamo scritto i testi insieme, ma la maggior parte è venuta da lei, perché le ho chiesto di scrivere qualcosa per la figlia nello stesso modo in cui prega per i suoi bambini ogni sera. Una volta realizzata la versione definitiva, ho costruito una piccola sala di registrazione con coperte e cuscini nella loro camera da letto, e lì Rose ha registrato il voice-over.

  • Hai girato in rapporto 4:3, cosa rara al giorno d’oggi.
    Puoi dirci qualcosa su questa scelta?


La scelta del rapporto è stata chiara fin dall’inizio. Ho detto al mio DOP che volevo mostrare la vita di Angela da vicino, in modo intimo, quindi mi ha suggerito il rapporto 4:3, se non più stretto. Dopo aver girato un test abbiamo visto che funzionava bene, perché lo spettatore resta concentrato su Angela; non c’è spazio per le distrazioni, che è quello che volevamo.

Un altro suggerimento del DOP è stato di girare tutto all’altezza degli occhi di Angela, in modo da poter entrare ancora meglio nel suo mondo. Mi piaceva l’idea, quindi abbiamo dovuto trovare soluzioni pratiche per poter girare comodamente a questo livello per un periodo più lungo. Abbiamo personalizzato alcune attrezzature per farlo funzionare.

Questo modo di lavorare con un DOP è molto stimolante, ed è così che io e Pauwel abbiamo lavorato durante tutto il processo del film. Pauwel è stato una parte molto importante del film per me. Ha anche sviluppato un bel rapporto con la famiglia, ed era la prima persona che chiamavo quando avevo un’idea per una scena. Non ci conoscevamo prima di questo progetto, ma da quando abbiamo fatto il film siamo diventati molto amici, e lo coinvolgerò anche nei miei progetti futuri.

Elong E'nabe | 99.media
  • Nel tuo film la politica resta sullo sfondo: il notiziario alla radio cita George Floyd, i bambini parlano di razzismo, tu ti concentri sulle bandiere fiamminghe attraverso la finestra di Angela. Cosa dice questo film del Belgio, e delle Fiandre in particolare? 


All’inizio non era mia intenzione fare un film che avesse un messaggio politico, ma man mano che entravo a far parte della vita di Angela, ho iniziato a notare che i piccoli dettagli del suo ambiente diventavano tangibili e impossibili da ignorare, elementi che ci dicono qualcosa del contesto in cui cresce.

I genitori di Angela si sono trasferiti dal Senegal 15 anni fa perché la situazione nella loro regione stava diventando troppo pericolosa. Sono arrivati a Bruxelles e, dopo aver vissuto lì per qualche anno, volevano lasciare un appartamento costoso in città per trovare una casa più aperta ed economica e mettere su famiglia. È così che sono finiti in una regione fuori da Bruxelles, nella città di Ninove.

Qui gli alloggi sono più economici, ci sono più scuole, un buon sistema di trasporti e più verde. Questa migrazione dalla capitale alla regione vicina è un fenomeno in atto ormai da molto tempo, ma è aumentato enormemente negli ultimi cinque/dieci anni. La transizione delle famiglie dalle grandi città alle regioni vicine ha plasmato anche il paesaggio demografico del Belgio. E insieme a ciò sono nati molti nuovi conflitti e attriti tra i nuovi arrivati e i “locali” che hanno vissuto in queste “città rurali” per tutta la vita. Le persone nate in questi luoghi erano abituate a uno stile di vita più tranquillo e locale, lontano dalle grandi città.

Nel corso degli ultimi dieci anni, hanno assistito a un cambiamento drastico, mentre i loro villaggi e le loro città venivano abitati da nuovi arrivati con diversi tipi di background, perlopiù giovani famiglie per cui era più economico vivere in un ambiente più rurale, piuttosto che pagare un appartamento costoso in città. In alcuni di questi luoghi, i politici locali hanno colto l’occasione e hanno iniziato a fare campagne elettorali con idee polarizzanti. Cercano di guadagnare popolarità tra i “nativi” diffondendo un’ideologia che fa leva sulla politica dell’identità. Conquistano più elettori convincendo la popolazione che i nuovi arrivati sono una minaccia per il loro patrimonio, i loro valori e la loro identità belga.

Il problema è che in questo modo allontanano due gruppi di persone e creano due schieramenti che all’inizio non erano opposti. Ma convincendo una parte che l’altra arriverà a invadere tutto, giocano su un’emozione basilare: la paura. Ed è proprio giocando su questa paura che molte opinioni sull’ondata di nuovi arrivati sono cambiate drasticamente in questi luoghi, e più persone si sono rivolte verso i partiti politici di destra.

L’arrivo di una grande comunità africana crea attriti in molti luoghi, perché gran parte della popolazione “locale” ha già a che fare quotidianamente con problemi come la povertà e si sente perciò minacciata dai nuovi arrivati. Dietro a tutto questo si nasconde la paura: non si sentono più a casa e si sentono abbandonati, soprattutto dalle autorità sociali. Molto spesso si tratta di persone che faticano a gestire cambiamenti rapidi. Vorrebbero tornare a un tempo passato che sperano un giorno ritorni.

Vorrei sottolineare che questa è la mia percezione della situazione; ho raccolto queste informazioni parlando con quante più persone diverse possibili, chiedendo loro qual è la loro esperienza in quella regione. Non si tratta di verità assolute, ma di informazioni generali che possono aiutarci a capire perché certe persone hanno reagito in un certo modo al cambiamento, e perché la polarizzazione ha avuto un tale effetto in luoghi come questi.

Mentre imparavo di più sulla situazione in cui è cresciuta Angela, mi sono ritrovato di fronte a molti elementi con un certo peso sociale e politico. Sono elementi che fanno parte dell’habitat di questa bambina di sei anni che mette in discussione la propria identità e si chiede se appartenga o meno a questo luogo. È a questo punto che, in quanto regista, ho dovuto decidere come trattare questi elementi; non c’è una risposta corretta, perché si tratta di questioni etiche. Ho parlato con molte persone per conoscere il loro punto di vista sull’etica della situazione e su come pensano che dovrei ritrarre le persone. E anche in questo caso non ci sono risposte giuste o sbagliate, ma solo altre domande che sorgono quando si inizia a scavare più a fondo in questa complessa questione. Ci sono diversi elementi incorporati in modo sottile nel mio film, perché volevo mostrare allo spettatore come un ambiente sociale si insinua nella vita di una bambina di sei anni, e come lei possa o meno rendersi conto di tutto quello che accade. Per me la parte interessante era anche mostrare l’impatto delle circostanze sul fratello maggiore (10 anni), sulla sorella maggiore (14 anni) e sui genitori, in modo che lo spettatore vedesse come le percepiscono nelle diverse fasi della vita.

La bandiera fiamminga che si vede in una scena, per esempio, non è stata inserita per suggerire che i vicini sono nazionalisti, ma per alludere al lato politico della storia. Perché nell’ultimo anno ho incontrato tante persone in questa regione con storie molto delicate e difficili, e sono grato a tutte loro. Quindi i vicini che hanno la bandiera appesa fuori… non sono persone risentite che cercano un conflitto. Per me è piuttosto la storia di come, in certi luoghi, possano nascere contrasti del genere, distorti e bizzarri, a causa delle ideologie politiche e della paura.

Durante la realizzazione del film ci siamo imbattuti in alcuni eventi troppo importanti per essere ignorati. Ad esempio, l’anno scorso, a maggio, il movimento Black Lives Matter è nato negli Stati Uniti e si è rapidamente diffuso in tutto il mondo. In quel periodo stavamo girando un film che in qualche modo trattava le stesse tematiche. Sono stato testimone del modo in cui le notizie di quel periodo sono state percepite dalla famiglia, ed è stato di grande impatto per loro, come per chiunque altro, credo. Le proteste del BLM sono qualcosa che verrà ricordato per sempre nella storia come un punto di svolta nella consapevolezza di certe questioni. Dopo aver visto l’impatto avuto sulla famiglia, ho deciso di includerlo nel film, ma con una certa sfumatura. Volevo mostrare come queste influenze esterne vengono percepite dalla madre, che capisce il peso delle notizie che guarda in TV, mentre Angela vede ciò che accade in televisione, ma forse non ne capisce del tutto il significato. Ho pensato questo contrasto fosse interessante.

Nel film ci sono grandi differenze tra ciò che viene mostrato in primo piano e ciò che invece è sullo sfondo, perché ho trovato più efficace concentrarsi sul legame tra madre e figlia e sul modo in cui la madre protegge la bambina dal mondo esterno in un certo modo. Credo che funzioni su un altro livello. Ho cercato di fare un film che non accusasse un certo gruppo di persone o una città nello specifico; in questo modo, il film potrebbe essere accaduto ovunque, e più persone al di fuori del Belgio possono identificarsi con la storia. Ho puntato su questo aspetto di universalità, perché, alla fine, ogni genitore vuole il meglio per suo figlio.

Elong E'nabe | 99.media
  • Un commento su 99 e sull’adattamento del tuo film in diverse lingue? 


Sono molto onorato che il mio film venga presentato su 99, perché per un giovane regista è un’incredibile opportunità per condividere il proprio lavoro con moltissime persone in tutto il mondo, in tante diverse lingue.

Sono molto grato che esista una piattaforma come 99, che permette ai giovani artisti di crescere, supportandoli e facendo il duro lavoro di tradurre in tutte queste lingue. Dopotutto, la lingua è il nostro principale modo di entrare in contatto gli uni con gli altri.

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