Quando il sig. Bharde ha portato un pulcino appena nato nel suo piccolo appartamento a Mumbai, ha conquistato il cuore di tutta la famiglia. Ma il pulcino è cresciuto, è diventato un gallo e il terrore si è sparso nei confini della loro casa.
Quale destino dovrebbe attendere questo presuntuoso coinquilino?
Il regista indiano Rishi Chandna ha scelto Tungrus come titolo del suo primo corto documentario e, così facendo, ci ha fatto crepare dal ridere. La risata ha viaggiato da un festival all’altro e adesso sta volando verso di te!
Diretto da Rishi Chandna
Fotografia: Deepak Nambiar
Suono: Vinit D’Souza
Montaggio: Neha Mehra, Niranjan Rasne
Traduzione, sottotitolazione: Alessandra Allegrini, Michela Maroni, Giorgia Frigerio, Jodie Clifford
Intervista
Rishi Chandna Regista
“All’epoca vivevo in un piccolissimo monolocale a Bombay con un gatto e ho subito iniziato a immaginare come sarebbe stato… se avessi avuto anche un gallo!”
- Parlaci di te, Rishi.
Sono nato e cresciuto a Calcutta e ora vivo a Goa.
Sono un regista autodidatta. Tutto quello che ho studiato era il tipo di istruzione più noiosa! Economia, contabilità, commercio… Non mi hanno preparato al mondo in cui lavoro ora, ma ho studiato queste materie per anni!
Fortunatamente, alcuni dei posti in cui ho studiato proponevano corsi trasversali in cultura e comunicazione, cinema o semiotica, che mi interessavano particolarmente. A quel tempo, uno dei miei amici aveva un disco rigido contenente 500 film che girava per il campus. Oggi ormai si possono scaricare e guardare in streaming tutti i film che si vuole, ma all’epoca era diverso. Ho cominciato a guardare tutti quei film e mi sono avvicinato sempre di più ad altre forme d’arte, come la musica e la poesia.
Dopo due anni di lavoro in azienda, mi sono licenziato e non avevo idea di come sarei potuto diventare regista. In India la maggior parte delle persone prima diventano assistenti alla regia, poi terzi assistenti alla regia, poi secondi assistenti alla regia e infine registi. L’assistente alla regia però non è una posizione creativa, è un lavoro di produzione, e non ne ero entusiasta.
In seguito ho cominciato a girare documentari per i matrimoni dei miei amici. Non come i classici video dei matrimoni che si vedono, con interviste, slow motion e tutte quelle sciocchezze! Erano miei amici, quindi avevo accesso anche ai particolari. Era più simile al cinema verité. Avevo accesso a momenti privati, come la sposa che si ubriaca e vomita oppure scene di persone che si mettevano in ridicolo…
Dopo questi film sui matrimoni, ho iniziato con le pubblicità a Bombay. Vivere a Bombay è di per sé una scuola di cinema, perché bisogna pagare le bollette. In quanto regista, uno dei miei primi lavori è stato girare video dietro le quinte dei grandi film di Bollywood. Ho risparmiato fino a quando non ho trovato il soggetto per Tungrus, e nel momento in cui mi è venuto in mente, ho dovuto fare il film.
- Parliamone. Come è nata l’idea?
Era il 2017. Mia moglie era tornata da lavoro, e le ho chiesto com’era andata la sua giornata. Mi ha detto che un suo amico, Sameer, le aveva detto che continuava a litigare a casa con il padre, e che non si parlavano. Le ho chiesto: “Perché?”, e lei mi ha risposto: “Perché è 6 mesi che hanno un pollo in casa e li sta facendo impazzire. Suo padre vuole ucciderlo e mangiarlo, ma Sameer non vuole, perché conoscono il pollo!”.
Ne ha parlato in modo spontaneo, come se fosse una conversazione normale! Mi sono subito incuriosito. Non avevo mai sentito nulla del genere. Bombay è una città caotica e densamente popolata, con 22 milioni di abitanti, e il concetto di spazio personale non esiste. Ci si può trovare con 8 o 10 persone della stessa famiglia che vivono in un’unica stanza. All’epoca vivevo in un microscopico monolocale, insieme al mio gatto. Ho iniziato a pensare a come sarebbe stato… se avessi avuto anche un gallo!
Mi sono chiesto: “Com’è questa famiglia? Che cosa decideranno di fare? Il pollo dovrebbe morire o continuare a vivere?”. C’era un bel conflitto, una situazione che andava risolta. Così ho contattato la famiglia grazie a mia moglie, ho spiegato perché volevo girare un film, e loro hanno accettato!
- Come sono andate le riprese nell’appartamento?
La famiglia mi ha detto che stavano per lasciare quell’appartamento. Si sarebbero trasferiti il mese successivo, quindi potevo girare quello che volevo prima che se ne andassero. E prima di cambiare casa, dovevano decidere cosa fare con il pollo… Avevo un mese, quella era la mia finestra per le riprese.
Ho fatto qualche visita alla famiglia senza la videocamera, solo per osservare; per vedere come si comportava il pollo, come si comportavano loro, qual era la loro routine. Ho instaurato un rapporto di fiducia e poi abbiamo iniziato a girare per otto giorni con una piccola troupe – e con “piccola troupe” intendo io, un direttore della fotografia con una vecchia Canon in prestito, niente luci e un fonico. D’altronde è un appartamento piccolo! Non si può invadere la casa di qualcuno con un’armata di tecnici, come una troupe cinematografica, con l’attrezzatura e tutto il resto. E poi non avevamo nemmeno i soldi per una cosa del genere! Stavamo anche riprendendo degli animali, che sono molto sensibili. Temevo che i due gatti e il gallo smettessero di comportarsi normalmente per colpa degli “estranei”. Il processo prevedeva di mantenere il tutto su piccola scala, fare silenzio, lavorare piano, senza far rumore e nei limiti di quello spazio.
Non volevo prendere posizione, volevo solo osservare in silenzio. Le persone guardano il film e decidono da sé cosa pensare. Non volevo imboccare gli spettatori con le emozioni, dicendo loro quando dovevano essere tristi o divertiti. Il cervello deve capirlo da solo, no?
È per quello che la videocamera è sempre fissa sul treppiedi. Sarebbe stato facilissimo riprendere a mano libera e seguire il pollo in giro per casa, ma penso fosse più difficile rimanere fermi e in silenzio, per mantenere un tono più… ironico!
“Bombay è sovrappopolata, stracolma.
Una simile densità abitativa è portatrice di caos, che a sua volta porta con sé situazioni straordinarie.”
- Quando ti sei accorto che il film aveva un potenziale ironico?
Nel momento in cui ho sentito della famiglia con il pollo, ho pensato che ci fosse qualcosa di assurdo in quella storia. Ci sono molti tipi diversi di umorismo, e a me sono sempre piaciuti il black humour e l’umorismo inglese, che sono più sottili, si trovano al di sotto del livello superficiale della storia.
Fin dall’inizio sapevo che c’era qualcosa che andava oltre l’umorismo slapstick. Mi ha aiutato a capire come girare il film, come montarlo, come catturare quel tono.
- Che cosa dice il tuo film dell’India?
È un film fortemente legato a Bombay. È sovraffollata, pieno di gente. La densità di persone è caotica, il che porta a situazioni straordinarie. Sai, c’è una specie di intersezione tra l’assurdità e la banalità. Tanto dell’India si trova in quell’intersezione.
Se si è estranei, si può pensare ci sia qualcosa di eccentrico, un po’ idiosincratico o bizzarro. Ma l’India ha quasi 2 miliardi di abitanti, e non è nemmeno un unico Paese. La lingua, il cibo e la cultura cambiano di stato in stato. Ma ciò che resta costante è questo caos che dà vita a situazioni assurde come quella descritta in Tungrus.
- Possiamo leggere un messaggio politico dietro questa situazione assurda?
Beh, dopo aver fatto il film mi sono reso conto che il gallo è un’allegoria politica dello “straniero” nel proprio ambiente.
Questo film dice molto di quello che sta succedendo in India al momento, perché negli ultimi 10 anni abbiamo vissuto una situazione politica estrema. L’India sta affrontando un nuovo tipo di nazionalismo religioso, in cui alcuni gruppi non sono i benvenuti e vengono considerati “estranei”, anche se non è mai stato parte della nostra storia. Siamo sempre stati un Paese laico e molto aperto.
Nel 2017, quando stavo girando il film, in molti stati indiani c’era un bando sulla vendita e la consumazione di carne di manzo. Questo film parla quindi della propria relazione culturale con il cibo, e in India questa relazione si sta limitando. Penso che il messaggio politico fosse inconsciamente dentro di me già quando mi sono interessato alla storia.
- Secondo te qual è la particolarità del corto documentario?
Un corto documentario è sicuramente una forma d’arte, un mezzo non inferiore al lungometraggio o al cortometraggio fittizio, oppure a un lungometraggio documentario. È cinema, senza dubbio!
Ho conosciuto registi di tutto il mondo ai festival, a cui chiedo sempre: “È il tuo primo o secondo corto documentario?”, e loro mi rispondono: “Oh no, ne ho già fatti otto!”. In India un regista così non verrebbe preso sul serio. E sarebbe comunque al verde, perché non abbiamo un ecosistema per i cortometraggi, e ancora meno per quelli documentari.
Pensa, un Paese come l’India, che ogni anno produce moltissimi film – abbiamo un’industria cinematografica enorme. Eppure non vengono dati supporto e amore a questa forma espressiva.
Però per produrre un film di finzione servono moltissimi soldi. Bisogna ingaggiare gli attori, e servono una troupe, l’attrezzatura, i costumi, le luci, il trucco… Ma per un corto documentario, se si hanno abbastanza soldi per finanziarsi da soli, si ha totale libertà. Il tipo di libertà che ho sperimentato con Tungrus. È qualcosa che non ha eguali.
Voglio assolutamente fare un lungometraggio, che sia documentario o meno, ma so già che non avrei la stessa libertà creativa in quanto artista. Quindi dico: “Viva i corti documentari!”. E un saluto a 99 per aiutare i registi a raggiungere un pubblico sempre diverso.